IL CUMULO, UNA STORIA INFINITA
25/06/2007Un gruppo di associati scrive:
Nel 1997 il parlamento ha approvato la legge relativa ai lavoratori pensionati che si reimpiegano, pagando i relativi contributi. A giudizio di molti legali ed esperti pensionistici, tale legge sarebbe risultata applicabile anche ai pensionati appartenenti ai fondi speciali (come nel caso degli iscritti al “Fondo volo”).
Essendo l’INPS di parere contrario e non applicando quindi a questi ultimi tale legge, ci si è rivolti alla magistratura per dirimere la questione ed ottenere quanto si riteneva legittimo, cioè il pagamento degli arretrati dal 1994 alla data di ritorno alla posizione di pensionato.
Purtroppo il giudizio della magistratura anziché dirimere, ha complicato la situazione. Infatti, nei vari gradi di giudizio, con la medesima situazione pensionistica e lavorativa, tutelati dallo stesso legale, ma sottoposti al giudizio di magistrati diversi, alcuni di noi hanno avuto parere favorevole già dal primo grado, altri sfavorevole in primo grado ma favorevole in Appello o in Cassazione, altri sfavorevole in tutti e tre i gradi di giudizio. Addirittura ad alcuni è stato riconosciuto il diritto a percepire gli arretrati dal 1994, ad altri dal 1997.
Penso che chiunque possa comprendere lo stato d’animo di chi come chi sia passato dalla coerenza negativa dell’autorità (INPS: niente a nessuno), al caos e al capriccio dell’amministrazione della giustizia (un magistrato niente a qualcuno, un altro qualcosa a qualcuno, un altro tutto a qualcun altro). Il tutto nei confronti di un gruppo omogeneo di individui, che ora possono sperimentare sulla propria pelle cosa significhi sentirsi cittadini di serie A, B, C, a seconda del giudizio di differenti magistrati dello Stato. Il tutto aggravato da tempi di amministrazione della giustizia quanto mai diversificati. Alcuni hanno percepito gli arretrati già da 7-8 anni, altri ancora combattono, con poche residue speranze, per non continuare ad essere penalizzati dall’incoerenza di giudizio della stessa magistratura.
In questa situazione, frustrati, ma decisi ad ottenere quella giustizia che da chi la amministra ci viene negata, continuiamo a porci alcune domande:
1. La legge non dovrebbe essere uguale per tutti?
2. È normale che una legge dello stato possa essere piegata, plasmata, modificata e accomodata dall’interpretazione di un giudice fino a farne dare applicazioni diametramente opposte?
3. Chi paga i danni morali e materiali di un cittadino che non ha avuto la fortuna di capitare con un “giudice giusto”?
Il nostro avvocato Francesca Scoppetta risponde:
Il nostro ordinamento giuridico ha tra i suoi cardini il principio dell’autonomia ed indipendenza dei giudici, che vuol dire che ogni magistrato giudica liberamente senza essere costretto ad adeguarsi ai cd. “precedenti”, cioè alle sentenze emesse da Tribunali di merito o dalla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità.
Tale sistema dovrebbe garantire il cittadino da una certa rigidità che l’adeguamento automatico alle precedenti sentenze potrebbe comportare, escludendo di fatto le peculiarità dei singoli casi specifici in ragione di uno schema tipologico che di certo non può mai arrivare a comprendere tutte le possibili varianti che nella realtà quotidiana continuamente si verificano.
Ovviamente il presupposto è che il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, deve attenersi alle leggi dello Stato, ovvero, in primo luogo, volendo riferirsi al caso riportato dal gruppo di associati di cui sopra, alla Costituzione, al codice civile e alle leggi specifiche che disciplinano il Fondo Volo.
Tuttavia, la disamina e l’interpretazione delle leggi è pur sempre gestita da uomini, i quali possono – come a volte accade – commettere errori.
Normalmente il sistema giuridico consente di porre rimedio a questi eventuali errori attraverso ulteriori gradi di giudizio in cui si può censurare l’operato dei giudici; tuttavia contrasti giurisprudenziali si possono sempre verificare e dar luogo a quelle “applicazioni diametralmente opposte” che si condannavano nell’articolo sopra riportato.
Persino all’interno della Corte di Cassazione possono sussistere tali contrasti e vengono risolti attraverso la pronuncia delle Sezioni Unite; nel frattempo, però, chi ha avuto una sentenza negativa di Cassazione non potrà comunque avvalersi dell’eventuale mutamento in senso favorevole dell’orientamento della giurisprudenza.
Quanto all’ulteriore aspetto prospettato nell’articolo in commento e relativo al pagamento dei danni al “cittadino che non ha avuto la fortuna di capitare con il giudice giusto”, intendendosi con ciò “giudice che dà ragione”, si deve rilevare come, in presenza di un errore, non giustificabile alla luce dei canoni di perizia e diligenza che dovrebbero improntare l’azione del giudicante, è sempre possibile agire anche nei confronti di un magistrato per il risarcimento dei danni morali e materiali, ferma restando, comunque, la possibilità di impugnare, con gli ordinari mezzi, l’eventuale sentenza negativa purchè non ancora passata in giudicato, ovvero conclusa con sentenza definitiva.